IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  4211  del  2020,  proposto  dal  Ministero  della
giustizia, in persona  del  Ministro  pro  tempore,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12 - contro; 
    L'avvocato  Andrea  Abbamonte,  rappresentato  e  difeso  da  se'
medesimo e dall'avvocato Monica  Mazziotti,  con  domicilio  digitale
come da pec da registri di giustizia e  domicilio  eletto  presso  lo
studio dei difensori, in Roma, via degli Avignonesi, n. 5; 
    La  Camera  amministrativa  romana,   in   persona   del   legale
rappresentante pro tempore, non costituitosi in giudizio; 
    E con l'intervento di ad opponendum: della Camera  amministrativa
e comunitaria della Campania, in persona  del  legale  rappresentante
pro tempore,  rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  Luigi  Maria
D'Angiolella e Fabrizio Perla, con domicilio digitale come da pec  da
registri  di  giustizia  e  domicilio   eletto   presso   lo   studio
dell'avvocato Luigi Maria D'Angiolella in Roma - via Sistina n. 121; 
    Per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 1229 del 2020, resa tra
le parti; 
    Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  dell'avvocato  Andrea
Abbamonte; 
    Visto l'atto di intervento ad opponendum; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  14  gennaio  2021  -
tenutasi in videoconferenza da  remoto  ai  sensi  dell'art.  25  del
decreto-legge n. 137 del 2020 - il consigliere Silvia Martino; 
    Vista l'istanza di passaggio in  decisione  depositata  dall'avv.
Andrea  Abbamonte  ai  sensi  e  per  gli  effetti   delle   suddette
disposizioni; 
    1. Con  ricorso  proposto  innanzi  al  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania, l'avvocato Andrea Abbamonte esponeva che a
seguito della proposizione di un ricorso ex art. 702-bis  del  codice
di procedura civile innanzi al Tribunale di Napoli  -  con  il  quale
aveva richiesto l'accertamento e la condanna del Comune di  Ceppaloni
al pagamento dei compensi professionali maturati  per  il  patrocinio
dell'ente in  alcuni  giudizi  innanzi  al  Tribunale  amministrativo
regionale Campania, sede di Napoli - il tribunale ordinario, in  data
31  maggio   2018,   aveva   adottato   un'ordinanza   decisoria   di
accoglimento, con la quale aveva condannato  il  medesimo  Comune  di
Ceppaloni al pagamento della complessiva somma di euro 13.302,68  per
l'attivita'  professionale  espletata  in  suo  favore,  nonche'   al
pagamento delle spese di lite. 
    L'ordinanza, munita di formula esecutiva, era stata notificata in
data 16 - 18 luglio 2018 al comune. 
    Poiche' l'ordinanza non era stata impugnata nel termine  previsto
dalla legge, la stessa era passata in giudicato. 
    Il Comune di Ceppaloni non  aveva  provveduto  a  conformarsi  al
giudicato di cui sopra. 
    Il ricorrente, pertanto, essendo decorsi anche i termini  di  cui
all'art. 14 del decreto-legge n. 669/1996, aveva proposto innanzi  al
Tribunale amministrativo regionale un  giudizio  di  ottemperanza  al
giudicato di cui alla suddetta ordinanza emessa ex art.  702-ter  del
codice di procedura civile  dal  Tribunale  di  Napoli,  con  ricorso
notificato in data  29  gennaio  2019  (RG.  n.  609/2019,  Tribunale
amministrativo regionale Campania, sede di Napoli). 
    In pari data l'avvocato Abbamonte aveva provveduto  a  richiedere
all'Ufficio cronologico e repertorio del Tribunale civile  di  Napoli
il rilascio del  certificato  di  non  proposta  impugnazione,  quale
condizione di procedibilita' del giudizio di ottemperanza suindicato. 
    Tuttavia il funzionario preposto  al  servizio  presso  l'Ufficio
cronologico e repertorio del Tribunale di Napoli aveva  rappresentato
di non poter rilasciare  il  richiesto  certificato,  perche'  da  un
controllo  effettuato   non   risultavano   pagati   gli   oneri   di
registrazione  dell'ordinanza  di  cui  si  chiedeva  accertarsi   il
passaggio in giudicato. 
    Al riguardo, il predetto ufficio aveva richiamato  una  circolare
interna del Tribunale di  Napoli  -  a  firma  del  coordinatore  del
settore civile dell'11 gennaio 2019 - con la quale si  era  stabilito
di sospendere e non evadere tutte le richieste di  certificazione  di
passaggio in giudicato  o  di  non  proposta  impugnazione,  sino  al
pagamento  dell'imposta  di   registro   della   relativa   decisione
giurisdizionale, con riferimento alle richieste inerenti le procedure
esecutive  da  proporsi  a  mezzo  di   giudizi   amministrativi   di
ottemperanza. 
    In tal senso la  circolare  rinviava  ad  una  nota  interna  del
Ministero della giustizia prot. n. 0139212/U del 25  settembre  2015,
nella parte in cui rileva che: 
        «[ ... ] la previsione dell'esclusione dell'obbligo di previa
registrazione della sentenza nel caso di richiesta di  copia  ad  uso
esecuzione e' stata introdotta nell'ordinamento da una sentenza della
Corte costituzionale (cfr. sentenza  6  dicembre  2002  n.  522),  in
relazione   alla   quale   non   e'   possibile   effettuare   alcuna
interpretazione  estensiva  ad  una  ipotesi  (quella  del   giudizio
amministrativo di ottemperanza) solo in parte equiparabile  a  quello
esecutivo civile [...]». 
    L'avvocato  Abbamonte  aveva  pertanto  provveduto  a  depositare
innanzi al Tribunale amministrativo regionale  per  la  Campania,  in
data 12 febbraio 2019, il surrichiamato  ricorso  per  l'ottemperanza
notificato   in   data   29   gennaio   2019,   versando   in    atti
un'autocertificazione    attestante    la    mancata     impugnazione
dell'ordinanza di cui  era  invocata  l'ottemperanza,  nonche'  copia
della suddetta circolare  del  Tribunale  di  Napoli  (attestante  il
mancato rilascio della certificazione ex  art.  124  disposizioni  di
attuazione del codice di procedura civile). 
    1.1. Con ulteriore ricorso al medesimo  Tribunale  amministrativo
regionale, egli chiedeva poi l'annullamento: 
        del silenzio - rifiuto formatosi  in  ordine  alla  richiesta
avanzata al Tribunale di Napoli, Ufficio cronologico e repertorio, in
data 29 gennaio  2019,  di  rilascio  del  certificato  ex  art.  124
disposizioni  di  attuazione  del  codice  di  procedura  civile   in
relazione all'ordinanza ex  art.  702-ter  del  codice  di  procedura
civile resa dal Tribunale di Napoli nel giudizio R.G.  39165/2016  in
data 31 maggio 2018, notificata al Comune di  Ceppaloni  in  data  18
luglio 2019,  con  riferimento  al  procedimento  giurisdizionale  di
esecuzione della suddetta ordinanza a mezzo giudizio di  ottemperanza
instaurato innanzi  al  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la
Campania; 
        della circolare del Tribunale di Napoli dell'11 gennaio 2019,
con cui era stato disposto di sospendere le richieste di rilascio  di
certificazione di passaggio in giudicato/non proposta impugnazione ex
art. 124 disposizioni di attuazione del codice  di  procedura  civile
con  riferimento  ai  giudizi  di   esecuzione   a   mezzo   giudizio
amministrativo di ottemperanza ex art. 112 c.p.a. fino  al  pagamento
dell'imposta di registro, ai  sensi  dell'art.  66  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 131 del 1986; 
        nonche' di ogni  ulteriore  atto  presupposto,  preparatorio,
connesso,  conseguente  o  consequenziale,  comunque   lesivo   degli
interessi del ricorrente, ivi compresa la nota  del  Ministero  della
giustizia prot. n. 0139212/U del 25 settembre 2015. 
    1.2. All'uopo, il ricorrente deduceva: 
        I. Violazione e falsa applicazione dell'art. 66  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 131 del 26 aprile 1986  successive
modificazioni ed integrazioni come interpretato dalla sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  522  del  6  dicembre  2002  -  Violazione
dell'art. 124 disposizioni di  attuazione  del  codice  di  procedura
civile - Violazione e falsa applicazione art. 7, comma  7,  legge  n.
825  del  1971  -  art.  24  della  Costituzione  -  Illogicita'   ed
irragionevolezza dell'azione amministrativa - Sviamento. 
    Il ricorrente  evidenziava  che,  con  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 522 del 2002, era stata dichiarata l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 66, comma  2,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 131 del 1986 nella parte in cui non  prevede  che
la disposizione di cui al comma 1 («I soggetti indicati nell'art. 10,
lettere b) e c), possono  rilasciare  originali,  copie  ed  estratti
degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro  formati
o autenticati  solo  dopo  che  gli  stessi  sono  stati  registrati,
indicando  gli  estremi  della  registrazione,  compreso  l'ammontare
dell'imposta, con apposita attestazione da loro sottoscritta») non si
applica al rilascio dell'originale o della copia della sentenza o  di
altro provvedimento giurisdizionale che debba essere  utilizzato  per
procedere all'esecuzione forzata. 
    Secondo la Corte costituzionale, l'inadempimento dell'obbligo  di
versamento  dell'imposta  di  registro  non  puo'  compromettere   lo
svolgimento e la conclusione del processo di cognizione,  in  quanto,
per effetto del bilanciamento da  operarsi  tra  l'interesse  fiscale
alla   riscossione   e    quello    all'attuazione    della    tutela
giurisdizionale, il primo puo'  ritenersi  adeguatamente  soddisfatto
dall'obbligo  che  grava  sul  cancelliere  di  informare   l'ufficio
finanziario  dell'esistenza  dell'atto   non   registrato   affinche'
quest'ultimo ufficio  possa  procedere  alla  riscossione  di  quanto
dovuto. 
    Il  ricorrente  sosteneva  che  tale  indirizzo   sarebbe   stato
applicabile anche al  giudizio  di  ottemperanza,  oggi  disciplinato
dall'art. 112  c.p.a.,  in  quanto  procedimento  giurisdizionale  di
esecuzione, del tutto assimilabile a quello civile ed in  conformita'
al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui  si  tratta
di un  rimedio  alternativo  e  concorrente  rispetto  all'esecuzione
forzata civile. 
    Sotto un secondo profilo, egli lamentava altresi'  che  l'ufficio
del Tribunale di Napoli aveva violato il principio di cui all'art. 91
del codice di procedura civile, in base al quale  spetta  alla  parte
soccombente - quindi all'ente locale convenuto - il  pagamento  delle
spese  processuali,  in   cui   rientrerebbe   anche   l'imposta   di
registrazione della sentenza, la quale e' riscossa per  la  fruizione
del servizio pubblico dell'amministrazione della giustizia. 
    Gli atti impugnati avrebbero cioe'  operato  l'ingiustificata  ed
illegittima «inversione» dell'obbligo di adempimento dell'imposta  di
registro, obbligando il creditore/parte vittoriosa  del  procedimento
giurisdizionale al pagamento  delle  spese  di  registrazione,  quale
condicio sine qua non, per poter esercitare l'azione  giurisdizionale
esecutiva a mezzo giudizio di ottemperanza. 
    II. L'avvocato  Abbamonte,  in  via  gradata,  eccepiva  altresi'
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 66, comma  2,  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 131/1986 nella parte  in  cui  non
prevede che la disposizione di cui al  comma  1  non  si  applica  al
rilascio dell'originale o della  copia  della  sentenza  o  di  altro
provvedimento  giurisdizionale,  che  debba  essere  utilizzato   per
procedere all'esecuzione, con riferimento al giudizio  amministrativo
di  ottemperanza  ai  sensi  dell'art.  112  c.p.a.,  deducendone  il
contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. 
    2.  Nella  resistenza  del  Ministero  della  giustizia,  e   con
l'intervento ad adiuvandum della Camera amministrativa e  comunitaria
della Campania, il Tribunale amministrativo regionale ha  accolto  il
ricorso «con conseguente annullamento  degli  atti  impugnati  e  con
obbligo, quale effetto conformativo, per  l'intimata  amministrazione
di provvedere al rilascio della certificazione  richiesta  alla  luce
dei principi di diritto espressi». 
    In particolare, il primo giudice ha sostenuto che, nel quadro  di
una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 66 del decreto del
Presidente della Repubblica  n.  131/1986,  cosi'  come  interpretato
dalla Corte costituzionale con sentenza n.  522/2002,  non  puo'  non
farsi rientrare nella fase dell'esecuzione  forzata  -  in  relazione
alla quale non trova applicazione il primo comma dell'art. 66 - anche
il giudizio di ottemperanza ex art. 112, comma  2,  lettera  c),  del
c.p.a. volto all'esecuzione di sentenze passate in giudicato e  degli
altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario  recanti
condanne pecuniarie a carico di amministrazioni pubbliche. 
    3. La sentenza e' stata impugnata dal Ministero della  giustizia,
rimasto soccombente. 
    3.1.  L'appello  e'  affidato  al  seguente  complesso  mezzo  di
gravame: 
    I. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 65, comma  l,
66, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile  1986,
n. 131 e 112 e ss. c.p.a. 
    La deroga invocata dalla parte  appellata  alle  disposizioni  in
rubrica,  relativa  all'esecuzione  forzata  civile,  deriva  da  una
sentenza «additiva» della  Corte  costituzionale;  pertanto,  secondo
l'appellante,  il  Tribunale  amministrativo  regionale  non  avrebbe
potuto procedere all'interpretazione analogica delle disposizioni  in
rubrica,  indipendentemente  dal  fatto  che  anche  il  giudizio  di
ottemperanza possa avere la finalita' di consentire  l'esecuzione  di
un titolo giudiziale. 
    L'art. 66, comma 1, del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 131 del 1986 pone un  principio  di  carattere  generale  volto  a
tutelare il diritto  dell'erario  alla  riscossione  dell'imposta  di
registro nel peculiare caso degli atti giudiziari. 
    Secondo  il  pacifico  orientamento   della   giurisprudenza   di
legittimita', le norme di esenzione totale o parziale  da  un  debito
tributario debbono ritenersi di «stretta interpretazione». 
    Pertanto, le previsioni derogatorie di cui al cit. art. 66, comma
2,  non  possono  essere  estese  ad  un'ipotesi  non  esplicitamente
contemplata,  in  considerazione  del  divieto   di   interpretazione
analogica stabilito dall'art. 14 delle disposizioni  preliminari  del
codice civile. 
    L'appellante ha poi sottolineato che il ricorso  in  ottemperanza
dinanzi al g.a. non puo' qualificarsi come una fase  di  prosecuzione
del giudizio ordinario, al pari dei rimedi processuali  dell'appello,
del ricorso per Cassazione e della revocazione. 
    Inoltre, per quanto siffatto  giudizio  possa  essere  utilizzato
anche  al  fine  di  eseguire  i  provvedimenti  emessi  dal  giudice
ordinario, esso non puo' essere totalmente equiparato  all'esecuzione
forzata civile. 
    In  tale  senso,  il  Ministero  appellante  ha  richiamato,   in
particolare, la natura «polisemica» di  tale  rimedio  operata  dalla
giurisprudenza  amministrativa  (Cons.  Stato,   Adunanza   plenaria,
decisione 15 gennaio 2013, n. 2). 
    Inoltre, la scelta dello strumento processuale, mediante il quale
ottenere soddisfazione delle proprie pretese,  spetta  esclusivamente
al libero apprezzamento del creditore;  con  l'ulteriore  conseguenza
che,  da  tale  scelta,  deriverebbe  ex  se  l'onere  per  la  parte
ricorrente di provvedere alla previa registrazione del provvedimento,
cosi' come previsto in via generale dal decreto del Presidente  della
Repubblica n. 131 del 1986. 
    La questione di costituzionalita'  prospettata  sarebbe  pertanto
manifestamente  infondata,  rientrando  nelle  discrezionalita'   del
legislatore la scelta delle fattispecie di esclusione  dall'onere  di
pagamento del tributo. 
    4. Si e' costituito, per resistere, l'avvocato Andrea  Abbamonte,
il quale ha riproposto, in primo luogo, il secondo profilo del  primo
motivo assorbito dal Tribunale amministrativo regionale relativo alla
violazione del principio di cui all'art. 91 del codice  di  procedura
civile. 
    4.1.   In   subordine,   l'appellato   ha   nuovamente    dedotto
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 66, comma  2,  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 per violazione  degli
articoli 3 e 24 della Costituzione. 
    5. E' intervenuta, ad  opponendum,  la  Camera  amministrativa  e
comunitaria  della  Campania,  significando  che   il   comportamento
dell'amministrazione  giudiziaria  di  cui  di  verte  «impedisce   o
ostacola illegittimamente l'attivita' professionale e della clientela
in una fattispecie  che  peraltro  gia'  e'  segnata  da  ritardi  ed
inefficienze delle PP.AA. nel dare esecuzione alle sentenze». 
    6. L'appellato ha depositato  una  ulteriore  memoria,  in  vista
della pubblica udienza del 14 gennaio 2021, all'esito della quale  il
gravame e' stato trattenuto in decisione ai sensi  dell'art.  25  del
decreto-legge n. 137 del 2020. 
    7. In via  preliminare,  il  Collegio  rileva  che,  per  effetto
dell'appello del Ministero e  della  riproposizione  dei  motivi  del
ricorso di primo grado il cui esame e' stato assorbito dal  Tribunale
amministrativo regionale,  e'  riemerso  in  appello  l'intero  thema
decidendum, sicche', per comodita' espositiva, saranno prese in esame
direttamente le censure poste a  sostegno  del  ricorso  proposto  in
prime cure (cfr., ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, sentenza, n. 7325
del 2020; id., sez. IV, n. 1130 del 2016; id., sez. V,  n.  5865  del
2015; id., sez. V, n. 5868 del 2015). 
    8. Nell'ordine logico delle questioni viene in rilievo il secondo
profilo del primo motivo articolato in primo grado, con cui e'  stata
dedotta la violazione dell'art. 91 del codice di procedura civile. 
    Il motivo e' infondato. 
    Il  diniego  impugnato  in  primo  grado  non   ha   violato   le
disposizioni  che  regolano  la  soccombenza  nel  processo,  essendo
rimasto   impregiudicato   il   relativo    accertamento    contenuto
nell'ordinanza pronunciata dal Tribunale civile  di  Napoli,  di  cui
l'avvocato   Abbamonte   ha   domandato    l'esecuzione    in    sede
giurisdizionale  amministrativa   innanzi   allo   stesso   Tribunale
amministrativo  regionale  per  la  Campania  (col  ricorso  RG.   n.
609/2019). 
    Va peraltro rilevato che, in tema di imposta  di  registro  sugli
atti  giudiziari,  costituisce  presupposto  del  tributo,  ai  sensi
dell'art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica n.  131  del
1986, l'esistenza di un titolo giudiziale soggetto a registrazione. 
    In  particolare,  la  suddetta  disposizione  prevede  che   sono
soggetti ad imposta gli atti dell'autorita' giudiziaria in materia di
controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i
decreti  ingiuntivi  esecutivi,  i   provvedimenti   che   dichiarano
esecutivi i lodi arbitrali e  le  sentenze  che  dichiarano  efficaci
nello Stato sentenze straniere. 
    Secondo l'art.  57,  «oltre  ai  pubblici  ufficiali,  che  hanno
redatto, ricevuto  o  autenticato  l'atto,  e  ai  soggetti  nel  cui
interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente  obbligati
al pagamento dell'imposta le parti contraenti,  le  parti  in  causa,
coloro che hanno sottoscritto o  avrebbero  dovuto  sottoscrivere  le
denunce di cui agli articoli 12 e 19 e coloro che hanno  richiesto  i
provvedimenti di cui agli articoli 633, 796, 800 e 825 del codice  di
procedura civile». 
    La giurisprudenza ha  chiarito  che  «l'art.  57,  comma  l,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, nella  parte
in cui prevede che sono tenute al pagamento dell'imposta di  registro
le parti in causa,  deve  intendersi  riferito  a  tutti  coloro  che
abbiano preso parte al giudizio, nei confronti dei quali la pronuncia
giurisdizionale si e' espressa nella parte dispositiva e la cui sfera
giuridica sia in qualche  modo  interessata  dagli  effetti  di  tale
decisione, in quanto  la  finalita'  di  detta  norma  e'  quella  di
rafforzare la posizione dell'erario nei confronti dei contribuenti in
vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto  per
ciascuno  di  essi  di  rivalersi  nei  confronti  di  colui  che  e'
civilmente tenuto al pagamento» (Cass. Civ., Sez. trib, ord. n. 29158
del 13 novembre 2018). 
    Pertanto, poiche', secondo la consolidata giurisprudenza, tra  le
spese giudiziarie da porre a carico  della  parte  soccombente  -  ai
sensi dell'art. 91 del codice  di  procedura  civile  -  va  compresa
l'imposta di registrazione della sentenza (cfr. Cassazione civ., Sez.
II, 27 ottobre 2004, n. 20821; Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 1117
del 18 febbraio 2019), ne consegue che  il  soggetto  che  abbia  nel
frattempo provveduto in  concreto  all'adempimento  dell'obbligazione
tributaria potra' comunque far valere il suo diritto al rimborso. 
    9. Ai fini dell'esame del  primo  profilo  del  primo  motivo  di
ricorso articolato in primo grado, va  rilevato  che  l'art.  66  del
citato  decreto  del  Presidente  della  Repubblica,  al   comma   l,
stabilisce il divieto per i cancellieri ed i segretari  degli  organi
giurisdizionali di rilasciare originali, copie ed estratti degli atti
soggetti  a  registrazione  in  termine  fisso,  da  essi  formati  o
autenticati, se non dopo la registrazione degli stessi, con  relativo
pagamento  dell'imposta,  prevedendo,  al  secondo  comma,  tassative
eccezioni al divieto di rilascio di copia di atti, nelle  more  della
registrazione. 
    A tali deroghe, previste dal legislatore, si sono aggiunte quelle
rispettivamente introdotte: 
        dalla sentenza della Corte costituzionale n.  522  del  2002,
che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  66,  del
decreto legislativo n. 131 del 1986 «nella parte in cui  non  prevede
che la disposizione di cui al comma 1  non  si  applica  al  rilascio
dell'originale o della copia della sentenza o di altro  provvedimento
giurisdizionale,  che   debba   essere   utilizzato   per   procedere
all'esecuzione forzata»; 
        della sentenza della Corte costituzionale n. 198 del 2010 che
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del  medesimo  art.  66
«nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1
non si applichi al rilascio di copia dell'atto conclusivo (sentenza o
verbale di conciliazione)  della  causa  di  opposizione  allo  stato
passivo fallimentare, ai fini della variazione di quest'ultimo». 
    9.1. Il  Tribunale  amministrativo  regionale,  con  la  sentenza
impugnata,  ha  sostenuto  che  nella  fattispecie   dell'«esecuzione
forzata» - in relazione alla quale il primo comma  dell'art.  66  non
trova  applicazione  (per  effetto  della  citata   declaratoria   di
incostituzionalita')  -   rientra,   in   virtu'   di   una   lettura
costituzionalmente orientata, anche il giudizio di ottemperanza. 
    Al riguardo, deve  tuttavia  convenirsi  con  l'Avvocatura  dello
Stato che  quella  operata  dal  primo  giudice  e'  in  realta'  una
integrazione analogica e  non  una  interpretazione  estensiva  della
disposizione quale risultante dalla richiamata sentenza  della  Corte
costituzionale n. 522 del 2002. 
    L'interpretazione estensiva, benche' in astratto non preclusa per
le norme derogatorie o eccezionali, rimane comunque circoscritta alle
ipotesi in cui il «plus» di significato, che  si  intenda  attribuire
alla  norma  interpretata,  non  riduca  la   portata   della   norma
costituente la regola con l'introduzione  di  nuove  eccezioni  (cfr.
Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4657). 
    Nel caso di specie, la regola generale posta dall'art. 66,  comma
1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  131  del  1986  e'
quella secondo cui la copia di un atto soggetto a registrazione  puo'
essere rilasciata solo dopo che l'atto e' stato  registrato,  con  il
versamento dell'imposta. 
    Il comma 2 della medesima disposizione prevede poi  le  eccezioni
alla regola, tra cui, come  rilevato,  quella  relativa  al  rilascio
dell'originale o della copia della sentenza o di altro  provvedimento
giurisdizionale   che   debba   essere   utilizzato   per   procedere
all'esecuzione forzata, e' stata  introdotta  nell'ordinamento  sulla
base di una sentenza della Corte costituzionale. 
    Le statuizioni del Tribunale amministrativo regionale,  sia  pure
ispirate al canone dell'interpretazione costituzionalmente  conforme,
comportano l'introduzione di una  ulteriore  eccezione,  relativa  al
giudizio di ottemperanza, con ulteriore  restrizione  dell'ambito  di
applicazione della disciplina generale. 
    In  ogni  caso,  l'interpretazione  estensiva  della  fattispecie
«esecuzione  forzata»  di  una  sentenza,   o   altro   provvedimento
giurisdizionale, non risulta possibile per due  ulteriori  ordini  di
ragioni. 
    In  primo  luogo,  la  regula   iuris   di   cui   il   Tribunale
amministrativo regionale ha operato un'interpretazione  estensiva  e'
la risultante di una sentenza additiva della Corte costituzionale. 
    Attraverso questa tipologia di sentenze la Corte identifica  (con
valenza erga omnes) la soluzione  costituzionalmente  necessaria  del
problema costituito dalla specifica  omissione  legislativa  rilevata
dal giudice a quo. 
    In tal modo, la sentenza della Corte (salvo che in relazione alle
c.d. «additive»  di  principio)  non  richiede  quindi  un  ulteriore
intervento interpretativo  dei  giudici  comuni  o  del  legislatore,
avendo, per le ragioni  evidenziate,  capacita'  «autoapplicativa»  e
unidirezionale. 
    Nel caso in esame, la fattispecie  oggetto  del  giudizio  a  quo
riguardava l'omissione legislativa relativa alla mancata  inclusione,
tra le ipotesi  derogatorie  contemplate  dall'art.  66  del  decreto
legislativo n. 131 del 1986,  del  rilascio  dell'originale  o  della
copia della sentenza o di  altro  provvedimento  giurisdizionale  che
debba essere utilizzato per procedere all'esecuzione forzata,  ed  e'
quindi solo a tale a fattispecie che  e'  riferita,  a  giudizio  del
Collegio, la portata innovativa della pronuncia n. 522 del 2002. 
    La predetta pronuncia non ha, infatti, anche i caratteri  di  una
c.d. «additiva di principio» e non consente quindi al giudice  comune
di rimediare direttamente  alle  ulteriori  lacune  che  gli  vengano
prospettate o che  egli  stesso  individui,  sia  pure  nel  medesimo
tessuto  normativo  gia'  inciso  dalla  richiamate  declaratorie  di
incostituzionalita'. 
    In  secondo  luogo,  l'azione  di  ottemperanza  per   conseguire
l'attuazione  delle  sentenze  dell'Autorita'  giudiziaria  ordinaria
(ovvero degli altri provvedimenti ad  esse  equiparati)  di  condanna
della p.a., al pagamento di una somma  di  denaro,  non  e'  un  mero
duplicato ne' comunque condivide  la  stessa  natura  dell'esecuzione
forzata civile. 
    Essa   e'   infatti   caratterizzata   dall'esercizio   di    una
giurisdizione  estesa  al  merito,  la  quale  consente  di  adeguare
l'azione esecutiva alla situazione concreta e  alla  statuizione  del
giudice (Corte costituzionale, sentenza n. 406 del 1998). 
    Anche rispetto  a  questo  tipo  di  pronunce,  possono  pertanto
trovare  applicazione  le  peculiarita'   funzionali   del   giudizio
amministrativo,  caratterizzate  da   potenzialita'   sostitutive   e
intromissive nell'azione amministrativa, non comparabili con i poteri
del giudice dell'esecuzione nel processo civile (sentenza n. 406  del
1998, cit.). 
    Vero e' che le due tipologie di azioni convergono verso lo stesso
fine di giustizia, sicche' appare logico ritenere che, come  rilevato
dal Tribunale amministrativo regionale nella  fattispecie  in  esame,
anche  l'azione  di  ottemperanza  non  possa   essere   condizionata
dall'adempimento di un onere fiscale. 
    Tuttavia all'integrazione di tale  lacuna  ordinamentale  non  e'
possibile  procedere  attraverso  l'interpretazione   analogica,   in
ragione del gia' evidenziato  carattere  derogatorio,  rispetto  alla
disciplina generale, delle fattispecie  regolate  dal  secondo  comma
dell'art. 66 del decreto del Presidente della Repubblica n.  131  del
1986. 
    Si rende  pertanto  necessaria,  a  giudizio  del  Collegio,  una
ulteriore sentenza additiva della Corte costituzionale,  in  ossequio
al principio di certezza del diritto e con valenza erga omnes. 
    10. In ordine alla rilevanza della questione,  va  ricordato  che
per le sentenze e gli  altri  provvedimenti  equiparati  del  giudice
ordinario il passaggio in giudicato e' un  presupposto  indefettibile
per agire in sede di ottemperanza, ai sensi dell'art. 112,  comma  2,
lettera  c)  del  codice  del  processo  amministrativo,  il   quale,
all'uopo, dispone altresi' che «Unitamente al ricorso  e'  depositato
in copia autentica il provvedimento di cui si chiede  l'ottemperanza,
con l'eventuale prova del suo  passaggio  in  giudicato»  (art.  114,
comma 2, c.p.a.). 
    La giurisprudenza amministrativa e' consolidata nel ritenere  che
la mancata prova dell'avvenuto passaggio in giudicato della  sentenza
azionata mediante ricorso per  ottemperanza  rende  inammissibile  il
medesimo   ricorso,   non   essendo    all'uopo    sufficiente    una
autocertificazione del ricorrente, o del suo  difensore  (ex  multis,
Tribunale amministrativo regionale  Campania,  Napoli,  Sez.  II,  30
giugno 2020, n. 2716; Tribunale amministrativo regionale Veneto, Sez.
I,  23  gennaio  2020,  n.  82;  Tribunale  amministrativo  regionale
Toscana, Sez. I, 9 novembre 2018, n. 1449; Cons. Stato, Sez.  IV,  12
dicembre 2016, n. 522; id., Sez. V, 11 dicembre 2015, n. 5645). 
    Sicche', il creditore,  che  per  il  soddisfacimento  della  sua
pretesa reputi necessario agire mediante il giudizio di  ottemperanza
innanzi al giudice amministrativo, deve procurarsi  una  copia  della
sentenza  (o  provvedimento  equiparato)  del  giudice  ordinario  da
eseguire, munita dell'attestazione del suo passaggio in giudicato. 
    L'art. 66 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131  del
1986 - dopo avere stabilito  al  comma  1  che  i  cancellieri  ed  i
segretari degli organi giurisdizionali e gli altri soggetti  indicati
nell'art. 10, lettere b) e c), possono rilasciare originali, copie ed
estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro
formati o autenticati solo dopo che gli stessi sono stati  registrati
- elenca al comma 2 cinque ipotesi di deroga, tra cui quella  secondo
cui il primo comma non si applica «agli originali, copie ed  estratti
di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali, o di atti  formati
dagli ufficiali giudiziari e dagli uscieri, che siano rilasciati  per
la "prosecuzione" del giudizio» (lett. a). 
    La fattispecie in esame non e' pero' ascrivibile ne' a questa ne'
alle  ulteriori  previsioni  derogatorie,  siccome  integrate   dalle
richiamate pronunce della Corte costituzionale. 
    La questione di costituzionalita' e' quindi dirimente, in  quanto
il  suo  accoglimento  comporterebbe  il  rigetto  dell'appello   del
Ministero della giustizia,  mentre,  per  converso,  il  suo  rigetto
determinerebbe l'accoglimento dell'appello. 
    11. Quanto alla non manifesta infondatezza  della  questione,  le
ragioni poste a base delle decisioni della  Corte  costituzionale  n.
522 del  2002  e  n.  198  del  2010,  sono  invocabili  anche  nella
fattispecie in esame. 
    In  particolare,  la  decisione  n.  522  del  2002  muove  dalla
considerazione  che  la  legge  9  ottobre  1971,  n.   825   (Delega
legislativa al Governo della Repubblica per la  riforma  tributaria),
ha imposto al legislatore  delegato,  come  principio  direttivo,  di
eliminare «ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire
in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi  legittimi»
(art. 7, n. 7). 
    In attuazione di  tale  principio,  l'art.  63  del  decreto  del
Presidente della Repubblica  26  ottobre  1972,  n.  634  (Disciplina
dell'imposta di registro), il cui contenuto  e'  poi  sostanzialmente
confluito nell'art. 65 del decreto del Presidente della Repubblica n.
131 del 1986, ha soppresso il divieto di utilizzazione in giudizio di
atti non registrati previsto dalla disciplina precedente, stabilendo,
in  luogo  dello  stesso,  l'obbligo  del  cancelliere  di   inviarli
all'ufficio del registro. 
    La Corte prosegue osservando che «Il legislatore della riforma ha
pertanto   ritenuto    che    la    situazione    di    inadempimento
dell'obbligazione relativa  all'imposta  di  registro,  emergente  in
occasione del processo di cognizione, non  puo'  avere  l'effetto  di
precluderne lo svolgimento e la conclusione. 
    E' chiaro il giudizio di valore  cosi'  espresso,  per  cui,  nel
bilanciamento tra l'interesse fiscale alla riscossione dell'imposta e
quello all'attuazione  della  tutela  giurisdizionale,  il  primo  e'
ritenuto   sufficientemente   garantito   dall'obbligo   imposto   al
cancelliere  di  informare   l'ufficio   finanziario   dell'esistenza
dell'atto non registrato, ponendolo cosi' in grado di procedere  alla
riscossione. Discipline di contenuto  sostanzialmente  identico  sono
state introdotte - sia pure in tempi diversi  -  per  le  imposte  di
successione, di bollo e sul valore aggiunto». 
    Considerando il bilanciamento fra i due interessi, alla luce  del
principio secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale  posta
dall'art. 24, primo  comma,  Costituzione  comprende  anche  la  fase
dell'esecuzione forzata, la quale  e'  diretta  a  rendere  effettiva
l'attuazione del provvedimento giurisdizionale,  la  scelta  compiuta
dalla disposizione di cui si tratta e'  stata  ritenuta  dalla  Corte
irragionevole e contrastante con l'art. 24 della Costituzione. 
    Essa infatti comporta che «la valutazione  di  bilanciamento  fra
l'interesse all'effettivita' della tutela  giurisdizionale  e  quello
alla riscossione dei tributi  sia  effettuata,  per  i  due  tipi  di
processo,  in   modo   irragionevolmente   diverso:   l'inadempimento
dell'obbligazione  tributaria  -  che  pure  non   ha   precluso   lo
svolgimento del processo  di  cognizione  fino  all'emanazione  della
sentenza (o di altro provvedimento esecutivo) ed ha determinato  solo
la comunicazione da parte del cancelliere  all'ufficio  del  registro
degli atti non registrati - impedisce poi che  alla  sentenza  (o  al
provvedimento esecutivo) sia  data  attuazione  mediante  l'esercizio
della tutela giurisdizionale in via esecutiva». 
    I  suddetti  principi,  ad  avviso  del  Collegio,   si   possono
considerare  applicabili  anche   al   caso   di   specie,   in   cui
l'inadempimento dell'obbligazione tributaria, da un  lato,  impedisce
la piena attuazione attraverso  il  giudizio  di  ottemperanza  della
tutela  del  diritto   accertato   giurisdizionalmente,   dall'altro,
determina una discriminazione tra creditori in base  alle  rispettive
disponibilita' economiche. 
    Il  diritto  al  processo  -  come   rilevato   nella   decisione
dell'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato con richiamo agli
orientamenti della Corte europea dei diritti  dell'uomo  -  comprende
anche il diritto all'esecuzione del giudicato  (decisione  n.  2  del
2013). 
    Vero e' che, rispetto alle sentenze del giudice  ordinario  e  ai
provvedimenti equiparati che recano condanne al pagamento di somme di
denaro,  il  creditore   della   pubblica   amministrazione   ha   la
possibilita' di promuovere, senza piu' alcuna  preclusione  derivante
dall'assolvimento degli oneri fiscali, anche l'esecuzione forzata. 
    Tuttavia, poiche' i due procedimenti sono non gia'  semplicemente
alternativi, ma complementari, il fatto che l'esperimento di uno  dei
due sia piu' oneroso puo' costituire un vulnus al diritto della parte
vittoriosa di far valere pienamente le  proprie  ragioni  nella  fase
esecutiva, attraverso tutti i mezzi previsti dall'ordinamento per  il
raggiungimento dello scopo, nonche' ad esso piu'  adeguati,  in  base
alla situazione  concreta  e  alle  statuizioni  del  giudice  (Corte
costituzionale, sentenza n. 406 del 1998, cit.). 
    Cio' puo' indurre  ad  escludere  altresi'  che,  come  sostenuto
dall'Avvocatura dello Stato, possa rientrare  nella  discrezionalita'
del legislatore attribuire prevalenza all'interesse alla  riscossione
delle imposte, poiche' tale  discrezionalita'  incontra  comunque  un
limite insuperabile con riferimento alle ipotesi in cui,  come  nella
specie,   «il   divieto   sia   palesemente   irragionevole»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 198 del 2010). 
    12.  In  definitiva,  quanto  appena  argomentato  giustifica  la
valutazione di  rilevanza  e  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 66, comma  2,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, in relazione
agli articoli 3 e 24 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non
prevede che la disposizione di cui al  comma  1  non  si  applica  al
rilascio dell'originale o della  copia  della  sentenza  o  di  altro
provvedimento  giurisdizionale,  che  debba  essere  utilizzato   per
proporre l'azione di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla Corte  costituzionale,  affinche'  si
pronunci sulla questione.